Piccolo mondo moderno by Antonio Fogazzaro

Piccolo mondo moderno by Antonio Fogazzaro

autore:Antonio Fogazzaro [Fogazzaro, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Hoepli
pubblicato: 1909-07-02T23:00:00+00:00


Limpidi ricami di note intorno al mover pacato di una melodia tranquilla, nè lieta nè triste, avrebbero potenza di esprimere quell'inafferrabile interno che sfugge al poeta nel dire l'andar lento di don Giuseppe e della marchesa per l'erbe tutte vive di vento nell'ombra chiara delle nuvole argentee, fra le macchie tutte bisbigli di frondi, rotti dalle note insistenti e gravi, dalle volate acute degli usignoli. I due non scambiavano, quasi, parola; e appunto la sola musica potrebbe dire il loro silenzio pieno di senso, le comunicazioni non inconscie delle loro anime, comunicazioni di pietà vicendevole, pensando la marchesa come il vecchio prete, con soave poesia di speranze, avesse preparato ai suoi cari, discesi poi nel sepolcro, tanta bellezza di cose; pensando don Giuseppe quanta bontà fosse nella donna addolorata e stanca che per essergli cortese mostrava interesse al suo giardino; blanditi l'una e l'altro, in pari tempo, nel cuore, da un'ultima dolcezza terrena, da un gentile compiacimento della bellezza, non ancora fatto straniero alle loro anime afflitte. Perchè la marchesa nel suo complicato cervello ci aveva pure una cellula per il senso della bellezza dei fiori, degli alberi e dei giardini; alla quale cellula mettevano capo molti finissimi nervi del pensiero, un solo grosso paralitico nervo della parola.

«Ecco le oche» diss'ella con la sua serenità blanda nell'appressarsi al microbo giallognolo e inquieto che si pigliava con beata vanagloria il nome di lago. «Ecco le oche. Le xe arene.» Don Giuseppe le spiegò pazientemente che le oche non erano anitre, che i suoi palmipedi erano un duplice popolo.

In quel momento un languido raggio di sole avvivò la scena pastorale, le acque inquiete, il gruppo di pioppi tremoli che le fiancheggia, il verde ovale della prateria cui l'obliquo poggio boscoso e una diga di alta verzura corrono a chiudere insieme in uno sfondo nero di abeti. Quel tale grosso nervo paralitico della marchesa si contrasse un poco. «Belo» diss'ella «don Giuseppe, el cossa xelo, el prà.»

Don Giuseppe non rispose. Contemplava. Quel posto del giardino era il suo prediletto. Aveva sognato un tempo giuochi e risa, nella prateria, di bambini del suo sangue, nipoti e pronipoti. Adesso, ammirando con la sua perenne freschezza di spirito i capricciosi amori della luce e del verde, ripensava il proprio testamento, fatto da pochi mesi, dopo lunghe incertezze e meditazioni, la villa e il podere diventati residenza e ricchezza di sei vecchi parroci della diocesi e di sei vecchi medici condotti della provincia, impotenti e bisognosi; immaginava i suoi eredi squallidi a passeggio nel prato.

La marchesa soggiunse che per l'Elisa, se mai avesse a uscire di là, ci sarebbe voluto un soggiorno simile. Don Giuseppe s'infiammò subito, offerse villa e giardino con tanto fuoco che la marchesa, sorridendo fra le lagrime, gli prese un braccio al polso, glielo tenne stretto a lungo in silenzio, per fargli capire che lo ringraziava e insieme che non c'era da correr tanto con le speranze. Don Giuseppe, turbato del turbamento di lei, s'imbarazzò, non sapeva che dire. Ella era forte, tanto



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